Dopo il cinema mi scopò la prima volta

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Dopo il cinema mi scopò la prima volta
Andavamo al cinema vietato che io ancora 14 anni non li avevo e già questa era una figata. Le prime tette delle nostre vite, altro vederle nei giornaletti e altro in movimento, trame improponibili affollavano le nostre fantasie e i primi pruriti, e questa era la seconda figata. Quando però nel buio della sala mi sentii sfiorare il ginocchio per poco non mi venne un colpo: era lui, il mio compagnetto del cuore, quello con cui sfidavamo la sorte presentandoci alla cassa, io con la mia faccina efebica e piccina ma lui no, lui era maturo, nel fisico e nell’animo e aveva le idee molto, molto chiare. Me lo dimostrò con quella mano che aveva cominciato a tastare la mia coscia, in maniera apparentemente distratta, quasi fosse annoiato da quel film ammiccante ma inconcludente.
Io rimasi immobile, incapace di emettere un fiato. Cosa dovevo fare, respingerlo?
Eravamo quattro gatti, allo spettacolo pomeridiano: il buio era complice e Giovanni mi intrigava e mi piaceva, mi piaceva tanto, tantissimo. Una volta, con la scusa di fare a botte – era successo a casa sua – mi aveva bloccato e cominciato a mordere, baciare e ciucciare le tettine morbide, come fossero state quelle di una ragazza, mettendo le mani, tutt’e due, tra il culetto e l’attaccatura delle palline. Mentre il suo membro sodo e grosso si era fatto sentire sotto di me, strusciandosi sul buchino. Il cuore mi era balzato fuori dal petto, avevo provato un’emozione fortissima, incontenibile. E al tempo stesso mi era venuto duro, mi eccitava limonare con lui e farlo come se io fossi una ragazza, la sua ragazza. Lui se n’era accorto ma non me lo aveva fatto pesare. Infine, con mia grande delusione, aveva mollato la presa.
Lo lasciai fare pure al cinema, quindi; risalì la coscia e io mi inchiodai letteralmente alla poltrona, le mani a mordere le estremità dei braccioli, ma intanto, solleticato dalla situazione intrippante, sentii di nuovo un incontenibile imbarazzo dalle parti dell’inguine.
– Ti piace il film? – mi sussurrò mettendo le dita sul pistolino -. Ti sta venendo di nuovo duro, come quella volta a casa mia.
Di nuovo il sobbalzo al centro del petto. Si mise vicino vicino e prese a palparmi pure le tette. I capezzoli sbocciarono sotto il maglioncino, gonfiandosi e indurendosi. Sentivo di essere paonazzo e meno male che al buio non si vedeva.
– A me il film pare una minchiata – riprese – però toccarti mi fa lo stesso effetto che fa a te.
Mi staccò una delle mani disperatamente aggrappate ai braccioli e me la portò lì, sul suo coso. Presi quasi la scossa, nel contatto con quel gonfiore esagerato, nel sentire quel cazzo che si era indurito flirtando con me, provai una sensazione di orgoglio, stavolta femminile, e nello stesso tempo di paura, terrore quasi. Eppure non riuscii a non palpeggiare insistentemente la sua virilità prorompente, percorrendola in lunghezza e larghezza con la mia manina curiosa e anche un po’ troiesca. Lui intanto mi aveva infilato una mano sotto il maglioncino, le sue dita bramose di fare esperienza stavano palpeggiando le mie tette calde e i capezzoli turgidi.
Presi ad ansimare ma lui mise impietoso la mano libera sul bottone del mio jeans. No, spogliarmi no. Non poteva. Mi opposi ma in un istante anche lui fece scorrere la cerniera dei suoi pantaloni e la mia manina imbranata affondò sui suoi slip, un paio di millimetri di spessore della stoffa mi separavano da quel pisello che al tatto mi apparì veramente enorme. Mi sentii precipitare.
Giusto in quel momento però si accese la luce in sala: senza che ce ne accorgessimo, quel capolavoro di film che stavamo “vedendo” era finito.

Ci incamminammo verso casa senza dire mezza parola mezza su quel che era accaduto – o quasi accaduto.
– Vuoi salire un attimo? – mi chiese quando arrivammo sotto il suo palazzo.
Non me lo feci dire due volte.
In ascensore bastò un suo sguardo per accendere le mie guance di un rosso vermiglio e di nuovo il cuore che faceva bum bum dentro il petto mentre lui si avvicinava, io non lo respinsi e aveva cominciato a baciarmi le guance e le labbra e contemporaneamente a riprendere il gioco di prima, lui toccava me e io toccavo lui, solo che io ora lo avevo moscio per l’imbarazzo di farlo alla luce e invece a Giovanni si era subito indurito, “cazzo, ma quanto lo hai grosso”, mi scappò di dire, “ora vedrai”, aveva risposto all’istante, e arrivati su eravamo entrati e non c’era nessuno, mi aveva trascinato in camera sua, chiudendo la porta a chiave e spingendomi sul letto, mi era saltato addosso e quasi strappato i vestiti, in un attimo mi ero ritrovata senza giubbino e maglioncino, a petto nudo, a seno nudo, “che minne fantastiche che hai, meglio di quelle del film”, aveva detto cominciando a morderle, “le adoro e mi ci faccio le meglio seghe solo immaginandole”, e mentre mi inorgogliva e impauriva con quelle parole conturbanti mi stava leccando divinamente i capezzoli, mi piaceva da morire, io mi sentivo femmina e la mia vera sessualità l’avevo scoperta guardando i cataloghi di Postal Market e tutte quelle donne in intimo, le tette le avevo anche io e avevo preso l’abitudine di toccarmi palpeggiandomi il seno e leccandomi da sola i capezzoli, figurarsi ora che me li stava ciucciando lui, “ti piace, puttanella?”, mi chiedeva senza alcuna ragione, visto che la risposta era implicita, il mio cazzetto era durissimo e lui me lo stava toccando con tanto piacere.
Si spogliò anche lui, rimase a petto nudo, mostrandomi i suoi bicipiti e lasciandomi smarrita, sì smarrita e non smarrito, non avevo più niente di maschile anche se abbozzai una frase di circostanza, tipo un “aspetta, che fai”, ma già mi stava tirando via i pantaloni e… cazzo, pensai, ho le mutandine da donna e i collant acquistati su Postal Market, la mia resistenza fu tardiva e non servì, in pochi secondi rimasi solo con l’intimo femminile che indossavo regolarmente da tempo, “non avevo sbagliato, sei proprio una puttanella”, e anche lui si era tolto i jeans e poi le mutande, il cazzo sodo, grosso, lungo e dritto, in un attimo si era scappucciato la cappellona violacea e me l’aveva avvicinata al naso, profumava di maschio da svenire, mi aveva presa per i capelli facendomi spalancare la bocca e mi ero ritrovata quel palo di almeno venti centimetri fino in gola, guidata da Giovi avevo iniziato a fare il primo bocchino della mia vita, avanti indietro sulla cappella e sull’asta con la bocca e mi piaceva farglielo, lo amavo, sentivo pressione sul nylon dei collant, era il pisellino che gradiva che io spompinassi il ragazzo che adoravo segretamente e Giovanni se la godeva, voleva che, stando sotto di lui, io lo guardassi negli occhi mentre avevo il suo uccellone tra le labbra umide, mi diceva le parolacce, “troia, pompinara, ci vai bene, chissà quanti ne ha ciucciati”, ma non era vero, mai fatti, solo immaginati. E quasi sempre e solo pensando di farlo a lui.
Lasciai che mi togliesse i collant e le mutandine, rimasi completamente nuda.
Lui mi sorrise, era la prima volta che mi sorrideva in quel bollente pomeriggio, mi baciò teneramente ancora le guance, poi la bocca, facendomi sentire l’umido delle sue labbra e per un attimo pure la lingua e infine mi fece stendere, spalancandomi le cosce e iniziando a baciarmi le palline, il cosino e poi scese sotto, iniziò a leccarmi il buco del culo, “benedetto bidet” mi dissi tra me, meno male che stavo ore a ungermi con le creme di mamma, per provare le dolcissime sensazioni del titillamento anale, “lo hai profumato”, confermò lui, “sei veramente già una baldracca”, e me lo leccò a lungo, facendomi mugolare di piacere. Poi passò a infilarci un dito, prima solo la punta, facendomi sussultare, poi tutta la falange, infine iniziò a spingerlo sempre più dentro, leccandomi in contemporanea e facendomi provare cosa fosse il paradiso.
– Porco – lo implorai – scopami, ti prego.
Mi sollevò mettendosi le mie caviglie sulle spalle forti e così aperta sentii la sua cappella soda e durissima premere sul mio buchetto vergine. Si mise a spingere piano, facendomi comunque un male cane, non potevo fare a meno di urlare e pensai che se fosse tornato qualcuno dei suoi eravamo fritti, ma lui non se ne curava e mi penetrava piano, sputandosi sulla cappella e insalivandomi ancora il buchino con le dita umide, sfondò la mia carne aprendosi un varco e mi entrò dritto per metà. Io lo guardavo negli occhi e lui pure, mi sorrideva, “ti amo”, gli dissi, “ti amo da sempre”, proprio come una tredicenne innamorata persa e intanto lui era entrato tutto, sentii i suoi coglioni pelosi premere sulla mia carne e in quello stesso istante venni a fiotti sulla mia pancia, godevo senza toccarmi per la pressione dentro le viscere e per il pensiero di essere posseduta per intero dal mio amore.
– Vengo anche io, tesoro – disse lui e io sentii i primi fiotti bollenti dentro di me, mentre lui ululava fragorosamente. Sculettando lo agevolai nell’orgasmo, tenendomi per i fianchi venne una quantità enorme di sperma, mi allagò le budella.
Rimanemmo zitti e fermi, senza staccarci, come avevamo fatto al cinema: gli si ammosciò dentro di me, dal mio culetto scivolava fuori il suo seme. Io lo accarezzavo piano, sulla testa, tra i capelli, lui, esausto, mi teneva una mano sul viso e la bocca poggiata sulle tette, con la lingua a lambirmi ancora un capezzolo, duro e gonfio, come se lui e io fossimo pronti a ricominciare subito.
Dopo rincasò sua mamma. Non aveva capito che c’ero anche io. Vide la luce accesa nella stanza del figlio, bussò ma trovò chiuso a chiave.
– Giovanni, che fai?
Lui aprì la porta.
– Niente, ma’, c’è anche Roberta, qua, stiamo giocando. Facciamo la lotta.
Sua madre rimase un attimo in silenzio.
– Roberta chi?
Lui non si smarrì.
– Volevo dire Roberto.
Poi, dopo che la mamma si allontanò, abbassò il tono della voce, in modo che potessi sentirlo solo io.
– Roberta, Roberta. La mia nuova ragazza.

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